Questo progetto nasce strada facendo e si assembla quasi da sé sotto forma di micronarrazioni che, interconnesse le une alle altre, intendono creare molteplici metafore esistenziali da proporre come un unicum.
Ogni dittico è composto da dettagli floreali e frammenti di femminilità, combinati tra loro in un equilibrio instabile e opinabile, mai statico, ma piuttosto in continua evoluzione. La scelta iconografica minimalista enfatizza – per geometrie, forme e rimandi (mono)cromatici – sia il rapporto tra corpo e natura, sia il binomio concettuale voluto con le rappresentazioni, qui tutte declinate in autoritratti, che per leggerezza assumono un ruolo fuori dall’ordinario e dal consueto.
L’abbinamento così formato apre varchi sul mondo esterno e spinge la comprensione oltre l’apparenza. L’ambiguità custodita dai ritagli, che ritraggono tracce fisiche (che sfuggono e raramente mostrano più del dovuto, in un gioco di luci delle composizioni e d’intangibilità delle figure), intende infatti esprimere contenuti quasi metafisici: privilegiando l’aspetto concettuale, il corpo viene utilizzato come medium, attraverso il quale indagare i sentimenti, le emozioni, ma anche le paure e le angosce, per consentire al pensiero dello spettatore di prendere forma e all’autrice di raccontare anche al di fuori della cornice ciò che le parole non riescono.
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