Qui, nel secolo scorso, ci fu lavoro per oltre 400 operai: uno ogni dieci abitanti.
Qui, nei due Dopoguerra, quando la fame abitava in ogni casa, respirare veleno rappresentò l’unica alternativa alla valigia di cartone dell’emigrante.
Qui, per molte giovani ragazze, si concretizzò il sogno di un riscatto dal lavoro domestico e agricolo, l’opportunità di un’emancipazione femminile dal sapore della libertà.
Qui, per parecchio tempo, si utilizzò la dolomite ricavata dalle montagne sopra il paese, ridotta in polvere di magnesio per l’industria farmaceutica.
Qui, per diversi decenni, si produsse soprattutto materiale coibente a base di amianto, amosite, magnesio, da destinare a impianti termici, navi, treni, edifici civili e pubblici.
Qui, nella «Collotta & Cis» di Molina di Ledro (TN), l’aria venefica respirata dagli operai produsse una lunga scia di decessi causati da tumore e asbestosi, un dramma collettivo che senza pietà arriva fino ai giorni nostri.
Qui, dalla fine degli anni ’70, prese avvio il primo studio italiano sui danni derivanti dall’esposizione diretta o indiretta alle sostanze cancerogene, confermando i sospetti nutriti fino ad allora.
Qui, pochi anni dopo, il primo caso in Italia di chiusura, bonifica e ripristino di un sito altamente inquinato dalla presenza dell’amianto.
Qui, da trent’anni a questa parte, si posa solo la polvere, tace il vento, racconta il silenzio.
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